Capitolo 402: Profondo Marzo
Le idi di marzo portano una bella carovana di film, oltre ai due recensiti a parte e per questo non inseriti in questo capitolo (mi riferisco a Mickey 17 e Lee Miller). Abbiamo ben quattro rewatch, ma soprattutto abbiamo tanta vita della profonda provincia statunitense, tra Indiana e Alabama. Due film italiani del secolo scorso, che più diversi non potrebbero essere, ma anche tre film di questo secolo, giusto per non farci mancare niente. Andiamo a scoprire le ultime visioni di questa prima metà di marzo.
Profondo Rosso (1975): Il capolavoro di Dario Argento quest’anno compie 50 anni e continua ad essere un film straordinario. Si tratta di uno di quei rari casi di film pressoché perfetti, dove una storia appassionante viene completata da grandi interpretazioni, colonna sonora da urlo, scenografie ipnotiche e una regia indimenticabile. Se avete voglia di approfondire qualche curiosità in più sul film vi consiglio questo bellissimo video su youtube, che rivela qualche chicca sconosciuta ai più (ad esempio che il titolo del film viene dai Deep Purple, ai quali Dario Argento aveva inizialmente chiesto di curare la colonna sonora, subito dopo averlo chiesto ai Pink Floyd!). Ad ogni modo, troppa bellezza tutta insieme: un capolavoro.
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Colpo Vincente (1986): Dopo la triste scomparsa di Gene Hackman mi sono ritrovato a spulciare il catalogo di Prime Video finché non mi sono imbattuto in questo film di David Anspaugh che non avevo mai sentito. Ispirato a una storia realmente accaduta, il film è incentrato su un ex grande allenatore di basket caduto in disgrazia, che ha la chance di rimettersi in sesto sedendosi sulla panchina della squadra liceale di un paesino rurale dell’Indiana, dove la comunità lo respinge e lo deride, anche per i suoi metodi duri e la condotta da sergente di ferro. Ben presto però, arriveranno anche i risultati. Trama semplice, storia facilmente intuibile, eppure è bellissimo: vero è che sono un appassionato di film sportivi, ma in questo caso sarà l’alone anni 80, sarà la presenza magnetica di Hackman, sarà un grande Dennis Hopper (candidato all’Oscar!)… Insomma, mi è piaciuto molto, rimpiango di non averlo visto ai tempi dell’adolescenza.
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Anora (2024): Che dire ancora del film che ha spiazzato tutti vincendo ben cinque Oscar? Questo rewatch a distanza di sette mesi mi ha fatto apprezzare di più la struggente bellezza del finale, anche se vedere in casa quel trascinante secondo atto, senza l’effetto cinema e la magica esperienza di ridere insieme a un centinaio di sconosciuti, qualcosa l’ha persa. Resta però intatto il valore di un film bellissimo, non il mio preferito di Sean Baker, ma comunque un’opera di enorme valore, trascinante, che maschera il dramma sociale sotto le spoglie di una farsa, emozionandoci con i sogni infranti di una working class al quale è severamente proibito godere di un riscatto, una rivalsa sociale o quel che sia. Splendido.
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La Stanza Accanto (2024): Finalmente sono riuscito a recuperare l’ultima fatica di Pedro Almodovar, Leone d’Oro a Venezia nel settembre scorso. Tilda Swinton è una giornalista in fase terminale, intenzionata a morire prima che la malattia entri nella fase peggiore. Chiede a una cara amica, Julianne Moore, di farle compagnia durante le sue ultime settimane di vita, in una sorta di vacanza durante la quale vedere film, leggere, “rilassarsi”, in attesa del momento cruciale. Almodovar dirige due attrici magnifiche in un concentrato di dialoghi e colori accesi, citazioni cinematografiche e piccoli momenti di grande bellezza. Ora, non so se fosse il film più bello per il Leone d’Oro, non sta a me dirlo, ma si tratta comunque di un’ora e mezza di ottimo cinema e di bellissime immagini. Segnalo anche un John Turturro magnifico.
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A History of Violence (2005): Ricordo di aver visto questo film di Cronenberg al cinema, durante gli anni dell’università. Siamo di nuovo in una cittadina rurale dell’Indiana (va un casino questo mese), dove Viggo Mortensen trascorre una vita fin troppo tranquilla con la sua bella famigliola. Un giorno due malviventi tentano una rapina nel diner gestito da Viggo e la splendida moglie Maria Bello: mai idea fu più sbagliata, visto che il protagonista, messo alle corde, uccide i due criminali. La risonanza mediatica del cosiddetto “eroe per caso” supera i confini della città e anche quelli dello Stato, visto che pochi giorni dopo nel ristorante si presentano alcuni gangster di Philadelphia che riconoscono Viggo come tale Joey Cusack, ex gangster con cui la mafia irlandese sembra avere parecchi conti in sospeso. Il film qui prende una piega totalmente diversa, dove i valori famigliari vengono messi in crisi e in cui la violenza sembra essere l’unico modo valido per comunicare. Il film è splendido, tiene costantemente sulle spine e restiamo là appesi a capire se Mortensen è davvero l’uomo che dicono che sia o se c’è stato un errore. E tu stai lì a cercare di capire come questa bellissima famiglia possa riuscire a tirarsi fuori dai guai e dalle sempre più evidenti minacce da parte del cattivissimo Ed Harris. Due nomination agli Oscar (tra cui quella inspiegabile per William Hurt come attore non protagonista), l’ho trovato in tv appena cominciato: è uno di quei film davanti ai quali è davvero difficile cambiare canale.
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Il Vigile (1960): Altro film pescato in televisione, probabilmente uno dei miei cinque Alberto Sordi preferiti. In questo film di Luigi Zampa, ambientato a Viterbo, Albertone è uno spaccone disoccupato, preso spesso di mira da vicini e conoscenti. Un giorno, grazie a un caso fortuito, il sindaco Vittorio De Sica è pressoché costretto a inserire Sordi nel corpo dei vigili urbani, dove combinerà un disastro dopo l’altro, senza perdere mai di vista la strafottenza e, al tempo stesso, un eccessivo senso del dovere. Una collezione di gag memorabili, dove spicca l’incontro con la celebre attrice Sylva Koscina (nella parte di se stessa): credo che non riuscirò mai a non ridere nel vedere le smorfie di Alberto Sordi mentre la Koscina lo saluta e lo ringrazia in diretta televisiva durante il Musichiere. Una commedia immortale.
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Il Buio Oltre la Siepe (1962): Terzo film consecutivo trovato casualmente in tv ieri sera, dopo esser rientrato da fuori. Si tratta di uno dei miei film preferiti in assoluto nonché il primo di cui ho parlato nel Capitolo 1 di questa rubrica, un riconoscimento quasi superiore alle 8 nomination agli Oscar (e alle tre statuette per l’attore protagonista, la sceneggiatura non originale e la scenografia). Nell’Alabama degli anni 30, l’avvocato vedovo Gregory Peck, forse il miglior padre mai visto nella storia del cinema, cresce i suoi due ragazzini con pazienza e amore, mentre si avvicina il processo a un ragazzo afroamericano ingiustamente accusato di violenza sessuale, che sarà difeso proprio da Peck. La storia è raccontata attraverso il punto di vista dei bambini, con le loro avventure, i loro giochi, oltre alla paura irrazionale per un misterioso vicino di casa che nessuno sembra aver visto. Ho scoperto il film di Robert Mulligan grazie ad alcune citazioni presenti in Vanilla Sky, da allora è sempre stato amore puro. La piccola Mary Badham (sorella di John Badham, futuro regista de La Febbre del Sabato Sera), candidata agli Oscar come migliore attrice non protagonista, restò in contatto con Gregory Peck fino alla morte dell’attore nel 2003, chiamandolo sempre con il nome del suo personaggio, ovvero Atticus. Capolavoro totale.
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