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Recensione “The Shrouds”: Sotto il Sudario Niente

L’ultima fatica di David Cronenberg si apre su un corpo di donna in decomposizione, osservato da un volto in penombra, con i capelli grigi, ispidi, talmente somigliante al regista canadese da farti credere per un momento che sia proprio lui: un attimo dopo si illumina però il volto e riconosciamo le fattezze di Vincent Cassel, il vedovo al centro di una storia ispirata dal lutto vissuto dallo stesso Cronenberg in seguito alla perdita della moglie (sarà anche per questo che il protagonista somiglia così tanto al regista, immagino). L’elaborazione del lutto sfocia dunque in un film sul dolore, o viceversa, dove le ottime premesse non servono però a evitare una confusa deriva spy, tra complottismi, hacker e paranoie.

Vincent Cassel è un ricco imprenditore che ha basato il suo business sulla costruzione di cimiteri hi-tech in cui è possibile, grazie a un’app dedicata e a un particolare sudario (che non sfigurerebbe al Met Gala), monitorare in tempo reale la decomposizione del proprio caro estinto. I problemi cominciano quando l’uomo, mentre sta mostrando il corpo in decomposizione della moglie durante un appuntamento al buio (non riuscitissimo, capirete), nota dei depositi ossei che stanno crescendo nelle cavità nasali del cadavere. Questa scoperta viene poi seguita da una profanazione di alcune di queste tombe tecnologiche. Poi entra in gioco un milionario ungherese che vuole trasformare l’attività del protagonista in un franchise e da qui una concatenazione di eventi che ci fa perdere sempre più interesse nei confronti della storia.

Fedele ai corpi tumefatti su cui si basa la vicenda, anche il film stesso sembra decomporsi sotto gli occhi dello spettatore (se escludiamo una splendida scena di sesso tanto fisica quanto psicologica, che è anche una delle migliori sequenze del film, annunciata dalla frase “i complotti mi fanno arrapare”, una citazione che potrebbe decisamente funzionare su una linea di t-shirt per annoiati teenager statunitensi o addirittura sulle tazze per il caffè): i tentativi di Karsh, il protagonista, di mandare via il dolore rimpiazzandolo con qualcosa di più tangibile di uno schermo con un corpo in decomposizione cozzano decisamente con la sottotrama cospiratoria, a tal punto da non far capire né a lui, né tantomeno allo spettatore, la direzione in cui il film si sta dirigendo. Resta il rimpianto di qualcosa che, senza tutta quella fuffa complottista, sarebbe stata un bellissimo film sulla ricerca della nostra metà perduta, sulla possibilità di vivere ancora nonostante un dolore che ha mutilato il nostro corpo. Sotto il sudario però ci sono solo ossa, nonostante un film di Cronenberg meriti sempre il nostro tempo.

#MichiamoGiuliaRoss è un #thriller psicologico che in soli 65 minuti riesce a creare un'atmosfera di claustrofobica tensione. #NinaFoch interpreta una giovane donna che accetta un lavoro come segretaria, ritrovandosi improvvisamente intrappolata in una villa isolata dove tutti insistono che sia la moglie mentalmente... #cinema #film #unofilm #unocinema #filmastodon #recensioni

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#lunaarrabbiata di #BryanForbes è un #film britannico del 1970 che affronta con sensibilità il tema della #disabilita e dell'amore in circostanze difficili. Basato sul #romanzo di #PeterMarshall racconta la storia di Bruce Pritchard (#MalcolmMcDowell ) un giovane calciatore che rimane paralizzato a causa della poliomielite, e di... #unofilm #filmastodon #cinema #unocinema #recensioni

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Recensione “Nonostante”: Purgatorio Amaro

Dopo un buonissimo esordio dietro la macchina da presa con Ride, Valerio Mastandrea raddoppia, anzi triplica, scrivendo, dirigendo e interpretando un film che lascia da parte il realismo agrodolce del film precedente, spostando il focus su una storia d’amore atipica, malinconica, surreale ma al tempo stesso molto dolce. Mastandrea è bravissimo a evitare ogni cliché, con il solito equilibrio tra cinismo, malinconia e leggerezza, un tratto che contraddistingue il suo memorabile protagonista e, di conseguenza, tutto il film.

In un ospedale le anime dei pazienti in coma vivono, parlano, passeggiano, in attesa di un risveglio o della morte. Una piccola comunità di persone molto diverse tra loro, con in comune un letto d’ospedale, una certa disillusione nei confronti della vita e un quasi perenne stato d’attesa. Il tempo scorre sempre uguale, tra improvvise raffiche di vento provocate da chi sta per morire, finché tra i corridoi nell’ospedale non si presenta una nuova paziente, anche lei ovviamente in coma, una donna che stravolgerà lo stato d’apatia rendendo molto più spaventosa l’idea della morte o, ancor peggio, della vita.

Se in Ride il tema centrale era l’elaborazione del lutto, in Nonostante c’è un’altra elaborazione da affrontare, quella di chi va via da questo limbo, morendo o, ancor più imprevedibilmente, svegliandosi dal coma, tornando su, come dicono i personaggi. Questa è probabilmente l’idea più potente del secondo film di Valerio Mastandrea: la paura della vita, intesa sia come risveglio che, da un punto di vista meno concreto, come un faccia a faccia con i propri sentimenti, con un’uscita dalla propria comfort zone emotiva. Forse con un terzo atto meno affrettato avremmo potuto parlare di uno dei migliori film italiani dell’anno, Mastandrea però è evidentemente cresciuto e maturato come artista e sta riversando la sua sensibilità e il suo valore anche dietro la macchina da presa. C’è più emozione, forse, in questo purgatorio immaginario che in tanta realtà, soprattutto perché, concedetemi il gioco di parole, al cuor non si comanda.

Nel panorama della #animazione mondiale, l'Italia ha regalato perle rare e preziose. Tra queste, spicca #VIPmiofratellosuperuomo capolavoro di #BrunoBozzetto del 1968 che rappresenta uno dei più ambiziosi e riusciti #lungometraggianimati italiani di sempre. Con il suo stile inconfondibile e la sua satira pungente... #unofilm #unocinema #cinema #film #recensioni #filmastodon

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Capitolo 402: Profondo Marzo

Le idi di marzo portano una bella carovana di film, oltre ai due recensiti a parte e per questo non inseriti in questo capitolo (mi riferisco a Mickey 17 e Lee Miller). Abbiamo ben quattro rewatch, ma soprattutto abbiamo tanta vita della profonda provincia statunitense, tra Indiana e Alabama. Due film italiani del secolo scorso, che più diversi non potrebbero essere, ma anche tre film di questo secolo, giusto per non farci mancare niente. Andiamo a scoprire le ultime visioni di questa prima metà di marzo.

Profondo Rosso (1975): Il capolavoro di Dario Argento quest’anno compie 50 anni e continua ad essere un film straordinario. Si tratta di uno di quei rari casi di film pressoché perfetti, dove una storia appassionante viene completata da grandi interpretazioni, colonna sonora da urlo, scenografie ipnotiche e una regia indimenticabile. Se avete voglia di approfondire qualche curiosità in più sul film vi consiglio questo bellissimo video su youtube, che rivela qualche chicca sconosciuta ai più (ad esempio che il titolo del film viene dai Deep Purple, ai quali Dario Argento aveva inizialmente chiesto di curare la colonna sonora, subito dopo averlo chiesto ai Pink Floyd!). Ad ogni modo, troppa bellezza tutta insieme: un capolavoro.
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Colpo Vincente (1986): Dopo la triste scomparsa di Gene Hackman mi sono ritrovato a spulciare il catalogo di Prime Video finché non mi sono imbattuto in questo film di David Anspaugh che non avevo mai sentito. Ispirato a una storia realmente accaduta, il film è incentrato su un ex grande allenatore di basket caduto in disgrazia, che ha la chance di rimettersi in sesto sedendosi sulla panchina della squadra liceale di un paesino rurale dell’Indiana, dove la comunità lo respinge e lo deride, anche per i suoi metodi duri e la condotta da sergente di ferro. Ben presto però, arriveranno anche i risultati. Trama semplice, storia facilmente intuibile, eppure è bellissimo: vero è che sono un appassionato di film sportivi, ma in questo caso sarà l’alone anni 80, sarà la presenza magnetica di Hackman, sarà un grande Dennis Hopper (candidato all’Oscar!)… Insomma, mi è piaciuto molto, rimpiango di non averlo visto ai tempi dell’adolescenza.
•••½

Anora (2024): Che dire ancora del film che ha spiazzato tutti vincendo ben cinque Oscar? Questo rewatch a distanza di sette mesi mi ha fatto apprezzare di più la struggente bellezza del finale, anche se vedere in casa quel trascinante secondo atto, senza l’effetto cinema e la magica esperienza di ridere insieme a un centinaio di sconosciuti, qualcosa l’ha persa. Resta però intatto il valore di un film bellissimo, non il mio preferito di Sean Baker, ma comunque un’opera di enorme valore, trascinante, che maschera il dramma sociale sotto le spoglie di una farsa, emozionandoci con i sogni infranti di una working class al quale è severamente proibito godere di un riscatto, una rivalsa sociale o quel che sia. Splendido.
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La Stanza Accanto (2024): Finalmente sono riuscito a recuperare l’ultima fatica di Pedro Almodovar, Leone d’Oro a Venezia nel settembre scorso. Tilda Swinton è una giornalista in fase terminale, intenzionata a morire prima che la malattia entri nella fase peggiore. Chiede a una cara amica, Julianne Moore, di farle compagnia durante le sue ultime settimane di vita, in una sorta di vacanza durante la quale vedere film, leggere, “rilassarsi”, in attesa del momento cruciale. Almodovar dirige due attrici magnifiche in un concentrato di dialoghi e colori accesi, citazioni cinematografiche e piccoli momenti di grande bellezza. Ora, non so se fosse il film più bello per il Leone d’Oro, non sta a me dirlo, ma si tratta comunque di un’ora e mezza di ottimo cinema e di bellissime immagini. Segnalo anche un John Turturro magnifico.
•••½

A History of Violence (2005): Ricordo di aver visto questo film di Cronenberg al cinema, durante gli anni dell’università. Siamo di nuovo in una cittadina rurale dell’Indiana (va un casino questo mese), dove Viggo Mortensen trascorre una vita fin troppo tranquilla con la sua bella famigliola. Un giorno due malviventi tentano una rapina nel diner gestito da Viggo e la splendida moglie Maria Bello: mai idea fu più sbagliata, visto che il protagonista, messo alle corde, uccide i due criminali. La risonanza mediatica del cosiddetto “eroe per caso” supera i confini della città e anche quelli dello Stato, visto che pochi giorni dopo nel ristorante si presentano alcuni gangster di Philadelphia che riconoscono Viggo come tale Joey Cusack, ex gangster con cui la mafia irlandese sembra avere parecchi conti in sospeso. Il film qui prende una piega totalmente diversa, dove i valori famigliari vengono messi in crisi e in cui la violenza sembra essere l’unico modo valido per comunicare. Il film è splendido, tiene costantemente sulle spine e restiamo là appesi a capire se Mortensen è davvero l’uomo che dicono che sia o se c’è stato un errore. E tu stai lì a cercare di capire come questa bellissima famiglia possa riuscire a tirarsi fuori dai guai e dalle sempre più evidenti minacce da parte del cattivissimo Ed Harris. Due nomination agli Oscar (tra cui quella inspiegabile per William Hurt come attore non protagonista), l’ho trovato in tv appena cominciato: è uno di quei film davanti ai quali è davvero difficile cambiare canale.
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Il Vigile (1960): Altro film pescato in televisione, probabilmente uno dei miei cinque Alberto Sordi preferiti. In questo film di Luigi Zampa, ambientato a Viterbo, Albertone è uno spaccone disoccupato, preso spesso di mira da vicini e conoscenti. Un giorno, grazie a un caso fortuito, il sindaco Vittorio De Sica è pressoché costretto a inserire Sordi nel corpo dei vigili urbani, dove combinerà un disastro dopo l’altro, senza perdere mai di vista la strafottenza e, al tempo stesso, un eccessivo senso del dovere. Una collezione di gag memorabili, dove spicca l’incontro con la celebre attrice Sylva Koscina (nella parte di se stessa): credo che non riuscirò mai a non ridere nel vedere le smorfie di Alberto Sordi mentre la Koscina lo saluta e lo ringrazia in diretta televisiva durante il Musichiere. Una commedia immortale.
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Il Buio Oltre la Siepe (1962): Terzo film consecutivo trovato casualmente in tv ieri sera, dopo esser rientrato da fuori. Si tratta di uno dei miei film preferiti in assoluto nonché il primo di cui ho parlato nel Capitolo 1 di questa rubrica, un riconoscimento quasi superiore alle 8 nomination agli Oscar (e alle tre statuette per l’attore protagonista, la sceneggiatura non originale e la scenografia). Nell’Alabama degli anni 30, l’avvocato vedovo Gregory Peck, forse il miglior padre mai visto nella storia del cinema, cresce i suoi due ragazzini con pazienza e amore, mentre si avvicina il processo a un ragazzo afroamericano ingiustamente accusato di violenza sessuale, che sarà difeso proprio da Peck. La storia è raccontata attraverso il punto di vista dei bambini, con le loro avventure, i loro giochi, oltre alla paura irrazionale per un misterioso vicino di casa che nessuno sembra aver visto. Ho scoperto il film di Robert Mulligan grazie ad alcune citazioni presenti in Vanilla Sky, da allora è sempre stato amore puro. La piccola Mary Badham (sorella di John Badham, futuro regista de La Febbre del Sabato Sera), candidata agli Oscar come migliore attrice non protagonista, restò in contatto con Gregory Peck fino alla morte dell’attore nel 2003, chiamandolo sempre con il nome del suo personaggio, ovvero Atticus. Capolavoro totale.
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Elegante #commediaromantica di #PeterBogdanovich che nasconde un cuore spezzato. Un #film del 1981 che doveva essere un brillante omaggio alle #screwballcomedy ma che si trasformò in qualcosa di più profondo e doloroso dopo il #femminicidio della giovane protagonista #DorothyStratten per mano del marito geloso... #unofilm #unocinema #cinema #recensioni #audreyhepburn #bengazzara

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Un film che ha consacrato #HumphreyBogart come star di #Hollywood e definito gli archetipi del #gangstermovie La storia di #RoyEarle, criminale dal cuore tenero in cerca di redenzione in un ultimo colpo, ci offre uno spaccato della società americana dell'epoca e una... #noir #unofilm #unocinema #cinema #fil #recensioni #idalupino #unapallottolaperroy #raoulwalsh #johnhuston

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Quando storia, passione e ironia si incontrano sullo schermo, nasce un capolavoro. #LaTosca di #LuigiMagni rilegge la celebre opera pucciniana attraverso una lente cinematografica unica, trasformandola in un ritratto vivido della Roma papalina durante l'occupazione napoleonica... #unocinema #unofilm #film #cinema #recensioni #filmastodon #monicavitti #gigiproietti #vittoriogassman

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#GliSpostati rappresenta un prezioso capitolo finale nella storia del cinema classico americano. L'ultima opera di #JohnHuston con #MarilynMonroe, #ClarkGable e #MontgomeryClift non è solo un film sul tramonto dei #cowboy nell'America moderna, ma anche il canto del cigno di un'epoca d'oro di #Hollywood... #unocinema #unofilm #film #cinema #recensioni #filmastodon #arthrumiller

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#TheSubstance della regista #CoralieFargeat è un #putpourri di omaggi a grandi classici della letteratura e del cinema horror, rielaborati in chiave moderna. Il tema di fondo è quello del rapporto con la vecchiaia e il voler rimanere sempre giovani, quindi il riferimento principale facilmente visibile è quello di #OscarWilde con #ilritrattodidoriangrey, ma su questo sostrato letterario, già interessante di per sé, si inserisce

1/6

Nel torbido panorama cinematografico della Francia occupata, #ilcorvo di #HenriGeorgesClouzot emerge come un'opera di straordinaria audacia e inquietante attualità. Realizzato nel 1943, in pieno #regimediVichy questo #thrillerpsicologico avvolge lo spettatore in una spirale di tensione e paranoia collettiva che non lascia scampo... #unocinema #unofilm #cinema #recensioni

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[film] Il Nibbio

Titolo: Il Nibbio
Regia: Alessandro Tonda
Sceneggiatura: Sandro Pretraglia
Altro: Italia; 2025; genere: drammatico; durata: 109 minuti

Attori:
Claudio Santamaria: Nicola Calipari
Sonia Bergamasco: Giuliana Sgrena
Anna Ferzetti: Rosa Maria Villecco

Voto: 8/10

Più che una ricostruzione storica, che di materiale certo ce n’è ben poco, è una ricostruzione per ricordare la persona, Nicola Calipari. E devo dire che ci riesce molto bene, sono uscito dal cinema con un agente del SISMI in un occhio, come si dice fra i miei amici.

Non credo di rovinare il finale del film raccontando per sommi capi la vicenda. Durante l’occupazione militare dell’Iraq, nel 2003, su iniziativa USA, la situazione nella zona diventa una polveriera, con una guerra civile fra le varie fazioni irachene e una grande resistenza nei confronti degli invasori. Gli attacchi nei confronti dei militari occupanti sono continui e anche il rapimento degli occidentali è pratica consolidata. In questo quadro Giuliana Sgrena, giornalista de Il Manifesto, si trova per lavoro a Baghdad, nel tentativo di documentare le atrocità che tutte le guerre si portano dietro. Il 4 febbraio del 2005 viene rapita in pieno giorno da un commando della resistenza irachena. Nicola Calipari, alto funzionario del SISMI, ha l’incarico di trattare con i rapitori e riportarla a casa. Ci riesce un mese dopo. Il 4 marzo del 2005, nel tragitto verso l’aeroporto, assieme a Sgrena e a un collega alla guida di un’auto, una pattuglia statunitense scambia la macchina di Calipari per un attacco suicida e apre il fuoco. Calipari protegge Sgrena col suo corpo e muore, gli altri due si salvano.

Calipari viene descritto come il funzionario di Stato che tutti ci auspichiamo di avere al lavoro: integerrimo, pragmatico, determinato, con molti agganci e conoscenze, che lavora nell’ombra, lontano dai riflettori, attento più a concludere la vicenda senza spargimento di morti che a prove muscolari. E infatti nel film questi due approcci, quello spaccone di matrice USA e quello “volemose bene” di matrice italica, sono apertamente in contrasto e continuamente in lotta. Viene anche un po’ il pensiero, non suffragato da nessuna prova, che l’uccisione di Calipari sia stato sì un incidente, ma un incidente accuratamente ricercato, una specie di vendetta per non aver fatto fare tutto alla CIA. Un pensiero sicuramente ingenuo, ma che non sono riuscito a togliermi dalla testa.

Una ricostruzione ufficiale comunque non l’avremo probabilmente mai. Per evitare tensioni politiche e diplomatiche si è deciso di nascondere tutta la vicenda sotto il tappeto. Il teatro dove è accaduto l’incidente aveva una giurisdizione un po’ fluida e l’ingiustizia è stata facile servirla (La Cassazione ha detto che l’Italia non giurisdizione sul caso).

Il film è comunque una bella ricostruzione di Calipari. A venti anni dalla sua morte spero che serva a ricordarlo, se non a fargli giustizia.

Vi lascio alcuni link da cui ho preso di dati del film e vi auguro buona visione.

Vanity Fair Italia · Il Nibbio: il regista e il cast raccontano il film su Nicola CalipariBy Martina Barone

Nel panorama della #commediabritannica degli anni '60, poche pellicole hanno osato quanto #lassuqualcunomiattende gioiello caustico diretto da #JohnBoulting e #RoyBoulting nel 1963. In questa tagliente satira sociale e religiosa, un magnifico #PeterSellers veste i panni del reverendo John Smallwood, un parroco dalle idee radicalmente... #unocinema #unofilm #cinema #film #recensioni

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Recensione “Lee Miller”: La Ragazza con la Rolleiflex

Il problema atavico di tanti film ispirati alla vita di grandi fotografi e grandi fotografe è che, pressoché sempre, le foto che hanno realizzato sono decisamente più interessanti del contesto in cui si muovono le loro vite. Il film di Ellen Kuras dedicato alla carriera di Lee Miller, modella e musa di Man Ray prima, corrispondente di guerra in qualità di fotoreporter dopo, non fa eccezione, dimostrandosi troppo convenzionale nel raccontare il lavoro di una donna straordinaria, una fotografa immersa per anni in un mondo dominato da uomini armati (da questo punto di vista è stata la più grande della sua epoca, seconda forse soltanto alla spericolata quanto eccezionale Margaret Bourke-White, sulla quale il cinema prima o poi dovrebbe puntare lo sguardo).

Gran parte del film mostra le sequenze in cui, con le libertà narrative del caso, Lee Miller ha scattato le sue immagini più celebri, dalle dipendenti di Vogue con le maschere antincendio alla celeberrima immagine della stessa fotografa intenta a lavarsi nella vasca da bagno di Hitler, dopo la fine della guerra. Sempre chinando il capo verso la sua Rolleiflex, con la quale ha raccontato, oltre agli orrori del mondo, soprattutto donne di qualunque genere, che siano ragazze in un rifugio antiaereo, aviatrici, naziste suicide o bambine spaventate. Saranno questi i frammenti più belli di Lee Miller.

Ellen Kuras è senza dubbio più celebre come direttrice della fotografia che come regista (qui al suo primo film di finzione dopo il documentario The Betrayal, candidato all’Oscar), basti pensare al suo lavoro più importante, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, nel quale ha plasmato visivamente le idee di Michel Gondry, contribuendo a consegnare il film alla storia del cinema. Senza dubbio è interessante vedere un’esperta di luci accostarsi al lavoro di una fotografa, che fa della luce il suo inchiostro quotidiano, peccato però che ogni scena proceda con il pilota automatico, sprecando un cast prezioso, costellato da perle come Marion Cotillard e Noemie Merlant, oltre alla protagonista Kate Winslet. Nonostante proceda tutto come ci si aspetti, compresa la galleria delle reali immagini di Lee Miller durante i titoli di coda, è un film pieno di intensità, di carica emotiva, che ha bisogno di far sentire la propria voce. Ma la fatica di Ellen Kuras alla fine non fa altro che rimpolpare la lunga lista di film incentrati sul lavoro di fotoreporter di guerra: da Sotto Tiro a Mille Volte Buona Notte, da Bang Bang Club al recente Civil War (dove la protagonista si chiama, guarda caso, proprio Lee…), solo per citarne alcuni. Per carità, Lee Miller non è peggiore di tanti titoli simili, ma il punto è che non riesce neanche a essere migliore e la domanda che segue è: forse ci stiamo stufando di vedere così tante rappresentazioni della Seconda Guerra Mondiale? Forse sarebbe il caso di mostrarla in maniera diversa (come fatto straordinariamente da La Zona d’Interesse)? Forse il problema di questo film è proprio nell’immaginario che ci mostra, a cui siamo probabilmente assuefatti? Rimugino su questo punto senza conoscere una risposta, certo però di poter aprire un motore di ricerca, sfogliare le immagini di Lee Miller e restare con gli occhi incollati a quelle foto straordinarie. Una reazione che, purtroppo, questo buon film non riesce a regalarci.

Un classico intramontabile del #cinemafantastico che fonde leggerezza e profondità, #Avvennedomani di #RenéClair è un gioiello della #commedia che gioca magistralmente con il concetto di preveggenza, offrendo allo spettatore un racconto ironico e intelligente sul destino e sul libero... #cinema #film #unofilm #unocinema #filmastodon #recensioni

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